Farewell Schwarzy

28 dicembre 2012:

Old soldiers never die, they just fade away, i vecchi soldati non muoiono, si limitano a sbiadire. Norman Schwarzkopf, il generale che ha ridato agli USA la convinzione di poter vincere una guerra dopo gli imbarazzanti risultati della guerra di Corea, del Vietnam, del Laos e della Cambogia, è partito verso il suo viaggio verso la storia.

Non so se fosse un bravo generale, Desert Storm del 1991, la guerra di una coalizione quasi esclusivamente formata da truppe statunitensi è stata soprattutto una guerra aerea. Le poco mobili interminabili colonne corazzate di Saddam Hussein, un dittatore molto sprovveduto, sono state un bersaglio fin troppo facile per gli aerei americani che le hanno spazzate via prima che le truppe di terra ne venissero in contatto.

L’America però aveva bisogno di un nemico da bastonare di tanto in tanto e Bush padre, che, per inciso, pare stia morendo anche lui in questi giorni, ordinò a Schwarzy di non avanzare fino a Baghdad creando le premesse per l’inutile e crudele seconda guerra del Golfo.

Ma Schwarzy, dopo aver combattuto un cancro alla prostata con la testardaggine e la determinazione di un soldato di professione ha rinunciato a una facile carriera politica per poter rimanere fino all’ultimo con l’uniforme addosso. Ora, a 78 anni, Norman Schwarzkop se ne è andato, con la schiena dritta e una star spangled banner, una bandiera a stella e strisce, che gli sventola alle spalle.

Era nato il 24 agosto 1934 a Trenton, New Jersey. Il padre aveva fondato la polizia dello stato e ne era a capo. Il giovane Norman l’aveva seguito con lui in Iran, dove Schwarzkopf senior addestrava le forze di sicurezza ed era consigliere dello Shah Reza Pahlavi. Oltre che in Iran, aveva studiato in Svizzera, Germania e Italia, prima di seguire le orme del padre ed entrare all’Accademia militare di West Point. Nel 1966 era andato volontario in Vietnam, dove si era guadagnato numerose decorazioni.

Nel 1988 Norman Schwarzkopf era diventato comandante in capo del quartier generale Usa. Tre anni più tardi le truppe irachene avevano invaso il Kuwait con il pretesto di un presunto furto di petrolio. E lui aveva guidato la coalizione militare di una trentina di Paesi che riuscì a ricacciare indietro le forze di Saddam Hussein. Ma sull’esito dell’operazione “Tempesta nel deserto” restano ancora oggi non pochi dubbi. In seguito Schwarzkopf aveva detto di essere stato d’accordo con la decisione di Bush di non arrivare a Baghdad per catturare Saddam, visto che la missione internazionale prevedeva soltanto la liberazione del Kuwait. Ma questa scelta era stata criticata da molti, soprattutto quando si era arrivati alla seconda guerra del Golfo.

Sull’invasione dell’Iraq nel 2003 Schwarzkopf aveva avuto un atteggiamento ambivalente, pur avendo fatto tre anni prima campagna elettorale per George W. Bush e avendo inizialmente appoggiato l’intervento militare. Il comandante della “Tempesta nel deserto” sosteneva che la vittoria non sarebbe stata facile come dicevano la Casa Bianca e il Pentagono e che le prospettive erano incerte. “Come sarà l’Iraq del dopoguerra, con i curdi, i sunniti e gli sciiti? Questa è la grande questione a mio avviso. E dovrebbe essere al centro dei piani per la campagna”, aveva detto in un’intervista al Washington Post. E alla fine del 2004 aveva criticato apertamente l’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e il Pentagono per gli errori fatti e per le valutazioni sbagliate sulla realtà irachena.

Si era sempre dichiarato politicamente indipendente. Anche al culmine della sua popolarità dopo la prima guerra del Golfo aveva rifiutato di candidarsi a cariche pubbliche e si era tenuto ai margini della scena. A riposo dall’esercito dal 1992, negli ultimi anni si era dedicato soprattutto a opere di beneficenza.

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